Londra | Fotografi Gallery di O’Donnel+Tuomey

La casa della fotografia di Londra ha riaperto la sua sede ufficiale a Soho dopo due anni di lavori di O’Donnel & Tuomey Architects. Il nuovo edificio nasce letteralmente da quello vecchio, sembra spuntargli da dentro, come se il precedente l’avesse da sempre contenuto.

Il progetto originario prevedeva la delocalizzazione dalla originaria fabbrica tessile di Ramillies Street in cui si trovava, ma per ragioni di budget fu deciso di intervenire sull’edificio esistente. Il nuovo volume sembra esprimersi in un cambiamento cinetico, dall’edificio in mattoni rossi alle aggiunte soprastanti sagnate da superfici compatte grigio antracite. Si leggono le tensioni di quel cambiamento, i mutui aggiustamenti, come in un dialogo tra due organismi nel farsi posto l’un l’altro: negli spazi, nelle prospettive, nel disegno delle facciate, nelle superfici, come in una crescita, in un cambio di pelle.

L’immagine d’insieme è minimale nelle geometrie: il “combattimento” tra l’edificio ospite e l’intruso si risolve in giunti e accostamenti di particolare delicatezza. La visione può anche scindersi, che si decida di guardare solo le masse grigie o solo il basamento in mattoni rossi. Colpisce su tutto l’armonia con cui si conclude in sommità l’incastro tra i volumi, dove la parete finestrata a doppia altezza, ricalibra le masse con la trasparenza del vetro, e rimanda a un grande obiettivo puntato sul paesaggio urbano. Il contrasto cromatico attrae fin da su alle scalette di accesso a Ramillies Street da Oxford Street; anzi, ora nelle pareti vetrate dell’edificio ad angolo, si specchia il richiamo dell’insegna bianca in fuori scala: tutto torna, tutto si tiene quando nei dettagli inaspettati ricompare la qualità del pensiero architettonico. È lecito pensare ad una lettura “fotografica” operata dal progetto sul contesto urbano. Il grande taglio vetrato al piano terra “inquadra” letteralmente lo spazio interno del caffè e l’incrocio tra le strade lì davanti, l’uno verso l’altro.

Il “Digital Wall” disposto in mega schermo sulla parete all’ingresso è totalmente leggibile dall’esterno, si “inquadra” nella vetrata, può essere osservato comodamente anche da lì, mentre racconta l’evoluzione della fotografia dalle reflex al mondo digitale. Nelle gallerie ai piani superiori vale lo stesso. Gli spazi espositivi opportunamente calibrati in oscurità prevalente per valorizzare le opere esposte, si aprono (inquadrano) sulle strade sottostanti in una proiezione che nella penombra acquista forza magnetica, attrae allo stesso modo di una mega stampa esposta alle pareti. Il gioco a tre livelli per quota, spazio e materiali che si scorge percorrendo le scale tra il terzo e il quarto piano vale tutta la composizione. C’è dentro la percezione in movimento (la scala), la vista dall’alto dello spazio espositivo (dietro la vetrata delle scale, ma ancora interno) e poi le finestre del palazzo di fronte e la strada più giù, oltre la seconda parete vetrata. Una sequenza di spazi e “filtri” ad effetto spiazzante come la lente ottica di una macchina fotografica.

Autore: Emilia Antonia De Vivo.

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