Londra | The Filling Station di Carmody Groake

Ancora un’apparizione temporanea: di questa si tiene a dire che è semi-permanente. Assumiamo qui ufficialmente che non è uno dei tanti pop-up della stagione. Di certo è una architettura “a tempo”, smontabile all’occorrenza, cioè quando sarà giunto il turno di quel lotto specifico, per completare le opere previste dal Masterplan di King’s Cross Regeneration.

Carmody-Groake adorano costruire ricordi, ovvero esperienze architettoniche (spaziali) vivibili in un dato momento, da registrare nel proprio personale hard disk e utilizzare poi in differita con l’uso della memoria in rewind, dal momento che è certo: quella architettura presto non ci sarà più (qui si parla di due anni di vita). Potere dell’es-temporaneo piacere di un attimo; è il trucco infallibile per rendere le cose indelebili. Così è stato per Studio East: indimenticabile, un altro dei momenti da condividere con pochi fortunati. Con loro scambiarsi l’intesa dell’ennesimo “io c’ero”, e con gli altri invece, la faccia del “ma di che parli!”.

The Filling Station ricorda ancora il distributore di benzina che era, ma mentre lo pensi non sai più perché lo hai pensato. Non c’è traccia eppure ce n’è: è rimasta la sua trasposizione romantica, evanescente in luce e materia. Si chiude sulla strada si apre sul canale. È totalmente composto dalla ripetizione modulare di un pannello ondulato in vetroresina bianco latte, illuminato a regola d’arte: di sera dall’illuminazione disposta ad effetto, di giorno dal sole che va e che viene. Tutto è giocato sulla trasparenza, sul traslucido che tradisce quel che nasconde e lo riflette in forme inaspettate. Al centro si trova lo spazio di Shrimpy’s il ristorante, protetto verso strada dalla barriera di pannelli che ne filtra i rumori, coperto, ma aperto a corte sul canale. Colpisce la misura dello spazio, l’equilibrio, la sua matematica: se si guarda il sito in pianta, difficilmente lo si assocerebbe ad una architettura così raffinata. Un’opera solida quasi austera, dissimulata nella leggerezza –apparente- della forma.

The Filling Station appartiene al “filone” del “Cultural Dining” cui hanno dato vita quelli di Office of Change, gli stessi di Bistrotheque e Studio East. Di fronte c’è la sede del Guardian dove pare abbiano preso alla lettera l’idea di “mangiare culturale”. Attenzione però a non chiamarlo pop-up!

Autore Emilia de Vivo.

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